mercoledì 18 maggio 2016

IL MIO CAPPOTTO DI CICCIA - di Morgana Wortmann



Da piccola ero magra, molto magra, non volevo mangiare; genitori, baby sitter e nonni mi rincorrevano per tutta la casa affinché io mangiassi anche un solo boccone, spesso piangevo e mi ribellavo alla violenza, me lo ricordo molto bene.
Ero una bambina che tutti definivano brava e buona, dove la metti sta...
Poi sono cresciuta e già alle scuole elementari, coi primi problemi familiari e relazionali, ho iniziato a sentire il bisogno di barricarmi in me stessa, forse a causa del fatto che non mi sentivo vista, ascoltata o forse perché semplicemente... ero fatta così. Ho iniziato quindi a tessermi il mio bel e morbido cappotto di ciccia, così utile per proteggermi e farmi rimbalzare addosso i momenti di difficoltà, di ansia e di dolore; il mio bel cappotto era sempre più folto e voluminoso, probabilmente per rendermi più visibile agli occhi di chi non riusciva a vedermi, oppure per rendermi socialmente più brutta, cosi da non essere disturbata più di tanto.
Avevo inconsciamente investito sulla simpatia, che nel corso del tempo avevo affinato come tecnica, per cui ero la simpatica ragazzetta cicciottella quattrocchi dietro cui i maschietti non morivano di certo, ma che invitavano sempre per il calcetto (ero diventata fortissima...); tra l’altro i maschietti di turno non dovevano nemmeno tanto evitarmi, ero rassicurante, perché non avrei mai attirato le ire funeste di gelose morosette, viso il mio aspetto fisico oltre ogni tentazione.
Alle scuole medie, vestivo con abiti di seconda mano e fuori moda, anzi devo essere stata io a rilanciare la moda dei pantaloni a “zampa”, diversi anni prima della loro ricomparsa sulle passerelle parigine. In una età in cui vince la più bella, io ero grassa, quattrocchi e pure vestita male... ma giocavo sempre molto bene a calcetto. Ero l’amica con cui tutti i maschi confidavano le loro pene d’amore, spesso rivolte a delle mie amiche belle, magre e vestite bene e spesso ero la confidente proprio del ragazzetto di cui ero segretamente innamorata e che, nonostante il grosso cappotto, non mi vedeva proprio... e come poteva?
Alle superiori la storia non è poi cambiata di molto, tranne per il fatto che nel frattempo è intervenuto il primo ciclo mestruale che ha arrestato la mia crescita in altezza ad un metro e sessanta scarso; la situazione per cui era la seguente: ragazza ciccia, quattrocchi, goffa, che andava male a scuola, bassa e vestita fuori moda ma... simpatica... vuoi mettere la soddisfazione di essere quella simpatica?
Dopo il secondo anno di superiori ho iniziato un pò a stufarmi dello stigma di ragazza sciatta, ed ho quindi iniziato a truccarmi, vestirmi meglio ed a esporre il mio corpo curvilineo: in discoteca senza occhiali (inciampandomi ovunque...), vestita scollata, truccata, rossetto rosso, aggressiva, arrogante... sono quindi passata dai maschietti che mi cercavano solo per il calcetto (o per le pene d’amore) ai maschietti che mi cercavano solo per il sesso... o presunto tale.
In qual periodo ho scoperto anche l’alcool e le sigarette, alcune meno legali di altre, che mi davano l’idea che (almeno in quei momenti) le cose andassero meglio, soprattutto in rapporto alla quantità di dolore a cui non riuscivo ancora a dare un nome.
Però ero dimagrita, mi ritenevano piuttosto carina: bionda, occhi verdi, due tette tanto, una bocca carnosa ed un culo interessante, senza occhiali e molto disponibile, non riuscivo a dire di no ad una avance, mi faceva sentire bene, finalmente valorizzata, importante, vista... ma... in pericolo senza il mio caro, carissimo cappotto di ciccia... le storielle amorose durava sempre troppo poco, il tempo per un po' di sesso, e quindi colmavo la fame d’amore compensandola con il cibo.
E’ così iniziata la mia carriera della sindrome dello yo-yo, dimagrendo ed ingrassando ciclicamente in base alla mia condizione emotiva: colmavo vuoti, vuoi con persone, vuoi con cibo e alcool, vuoi con entrambi.
Ho così finito l’Università (avevo scoperto di essere dotata di media intelligenza), iniziato a lavorare nel sociale (... guarda caso...), mi sono sposata ed ho avuto due figli. Il mio matrimonio è stato, per certi versi, la fedele riproduzione della mia infanzia da bambina non vista e per certi altri, la pantomima del ruolo materno agito sul marito. In tutto ciò, ho rivoluto forte, fortissimamente la comodità del mio bel cappotto morbido fatto di ciccia, così da potermi proteggere dal freddo della quotidianità, un cappotto sicuro e soprattutto conosciuto e rassicurante.
Il mio rifugio e la mia dannazione è stata il cibo, sono arrivata al peso di 104,8 kg per un metro e sessanta scarso.
DEVI amarti di più Morgana, guarda come ti sei ridotta, ti sei lasciata andare, DEVI dimagrire, guarda in che stati sei...” ... difficile guardarsi allo specchio, farsi schifo, tutti non perdono occasione per dirti quanto fai schifo e cercare di avere stima per sé stessi... difficile, difficilissimo, impossibile dicevo a me stessa, morirò così, brutta e grassa, indesiderabile anche dal punto di vista sessuale, sgradevole da amare, perché il mio cappotto di ciccia aveva, nel frattempo, sviluppato una sua sovracorazza di spine, molto pungenti e spesso velenose.
Ero quindi diventata la overtrenta, grassissima, quattrocchi, acida, ciclotimica, rompiscatole e pure sessualmente repressa.
Poi un giorno mi sono rotta i coglioni (scusate la licenza poetica...).
Mi sono chiesta come mai, in tutti questi anni, io avessi accettato tutte queste etichette, appiccicate da altri, per definire la mia persona... e come mai io ci avessi addirittura creduto!
Alla soglia dei 40 anni, dopo un lungo percorso di tipo personale (sia psicoterapeutico che attraverso il percorso DM) ed aver maturato quindi una consapevolezza diversa da quella avuta fino a quel momento, mi sono chiesta cosa volessi fare della mia vita... mi sono resa conto che era necessario un cambiamento, personale, intimo, interiore... era necessario che io uscissi dalla mia zona di comfort, fatta di ciccia e pseudo-percepite-cert-sicurezze, e che prendessi in mano il vero senso del mio essere, fatto anche di scelte impegnative, scomode e spesso dolorose.
E’ stato così che ho iniziato un lungo cammino, che tutt’ora sto percorrendo, per togliermi di dosso il senso di quel cappotto di ciccia che mi sembrava roteggermi così tanto ma che in verità mi stava soffocando l’anima. Mi sono visualizzata mentre (molto lentamente e con estrema delicatezza e rispetto) mi sfilavo di dosso quel cappotto che tanto mi aveva crogiolata in cosi tanti anni... non è stato facile, perché ho dovuto fare i conti con l’affetto che nel tempo avevo sviluppato nei confronti di quel cappotto...
Oggi mi sento una bella bionda ultra quarantenne, madre separata, professionista del sociale, sicura di me, piuttosto affascinante e sensuale (... mi dicono...) anche nel mio portare un bel paio di occhiali alla moda (mi fanno sembrare intelligente...), capace di valorizzare le proprie curve, più curata nel vestire e nel trucco, una donna che cammina con un po' di tacco e sculettando un po', senza ingobbirsi nel vano tentativo di sembrare più minuta o di mascherare la prominenza della pancia... non ho idea di quanto peso, non mi interessa proprio (ho fatto sparire la bilancia da casa) perché quando mi guardo allo specchio mi piaccio, vedo che vestita con qualche abito magari un po' più furbo faccio la mia porca figura.
Ho ritrovato il piacere del mangiare poco e sano, di camminare in mezzo alla natura e di parcheggiare magari un po' più lontano cosi da poter fare due passi in più.
Ho capito che il mio obiettivo non è più l’eterna ed epica lotta con Nostra Signora La Bilancia, ma il mio ben-essere, qualsiasi cosa significhi...

Ho salutato il mio cappotto di ciccia, ringraziandolo per essere stato parte della mia vita, abbiamo litigato ed alla fine abbiamo fatto pace... non l’ha presa molto bene quando gli ho spiegato che adesso, le nostre strade, si sarebbero dovute dividere... ma poi mi ha sorriso e... secondo me ha capito...


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